FIAT POMIGLIANO

Fiat: l’oro di Marchionne non luccica più

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La vicenda Pomigliano mette a nudo la realtà di una Fiat criticata da media, mondo politico, opinione pubblica.

“Gioca l’Italia, noi vorremmo lavorare e invece c’è la cassa integrazione”. In questo striscione comparso ieri in concomitanza con l’inizio della partita dellaNazionale con la Slovacchia per i mondiali in Sudafrica, e firmato dai lavoratori di Termini Imerese c’è tutto l’assurdo di una situazione, quella di Fiat, che sta diventando sempre più surreale. Proprio ieri è cominciato il primo dei quattro giorni di cassa integrazione per tutti gli operai di Termini Imerese. L’iniziativa è stata organizzata da Fim, Fiom e Uilm, in risposta all’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, che nei giorni scorsi aveva criticato gli operai di Termini Imerese accusandoli di avere scioperato solo per potere vedere in Tv la partita di calcio Italia-Paraguay.

ANDARE AVANTI, COMUNQUE – La battaglia di Pomigliano, che ha impegnato la Fiat in una strategia mediatica oltre che industriale, vede uscire i vertici di Torino con le ossa rotte. Partita con l’appoggio del governo, dei giornali e persino della Cgil, la guerra di Sergio si è infranta su quella percentuale, il 62% di sì e il 38% di no, ottenuta dalla Fiom contro tutti i pronostici (e a dispetto dei Tg del giorno prima, dove tutti gli operai intervistati dicevano che avrebbero votato sì e si auguravano un’adesione tra il 70 e l’80%), e soprattutto sul comunicato successivo, dove la Fiat diceva che avrebbe lavorato soltanto con quelli che hanno firmato l’intesa. Un comunicato stigmatizzato persino dal ministro Maurizio Sacconi: “Il risultato è molto chiaro, ora bisogna procedere. Non voglio nemmeno pensare ad un’ipotesi diversa, non ce ne sono le ragioni e sarebbe un’ipotesi assurda e molto grave”. Il riferimento, stante la polemica continua del responsabile del Welfare con la Fiom, è invece da leggere tra le righe: niente piani B o C, come sembrava si ventilasse dalle parti di Torino quando sono usciti i (deludenti) risultati del referendum.

CUI PRODEST? – Ma soprattutto, quello che sembra cambiato nel breve lasso di tempo, è l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti della Fiat. Vittorio Feltri, nel suo editoriale di prima pagina, lancia la proposta di «adottare la formula Alitalia. E cioè istituire una nuova società e riassumere soltanto il personale che sottoscrive il contratto con le clausole considerate qualificanti e irrinunciabili». Ma il Giornale, anche tra i quotidiani di centrodestra, è l’unico a schierarsi al fianco di Marchionne. Libero, tra le altre cose, fa notare: «Se salta tutto la grana è in mano al governo». Tra i giornali di area di centrosinistra, la posizione è netta nel richiamare Marchionne: “Il dovere della Fiat”, è il titolo del fondo firmato da Paolo Nerozzi sulla prima pagina di Europa. L’Unità dedica l’apertura alla Fiat con un riferimento calcistico: “Secondo tempo”, mentre all’interno di sottolinea che è stata “sconfitta la linea di Sacconi”. La bocciatura che brucia di più però è quella di Antonio Polito, che gli dedica l’editoriale di prima pagina del Riformista: “Marchionne è parso impegnato sempre più in una battaglia ideologica vecchio stampo, del tipo ’spezziamo le reni al sindacato rosso’; se il manager lavorava fin dall’inizio per fare fallire l’operazione Panda a Pomigliano, si è comportato coerentemente. Ma siccome non era e non è così,  il suo comportamento è stato irrazionale”.

MARCHION-POTTER E’ SENZA BACCHETTA – Insomma, per la prima volta il manager dal tocco magico deve fare i conti con una maggioranza di critiche, invece che con gli elogi sperticati a cui erano abituati lui e la “sua” Fiat. E nelle proposte di “nazionalizzazione”, che pur venendo da destra riecheggiano quelle di Bertinotti, è impossibile non vedere anche una critica all’operato dello stesso Marchionne. Che oggi deve incassare anche qualche piccolo strale che arriva dalla Polonia, che per un breve periodo si era anche illusa di poter vedere la linea di produzione della Panda definitivamente spostata a Tychy, e adesso deve incassare e digerire la delusione. A spiegarlo all’agenzia Adnkronos è stata Wanda Strozyk, responsabile di Solidarnosc di Fiat Auto Poland. “Osserviamo con attenzione quello che succede in Italia e rispettiamo ogni decisione che prenderanno i colleghi di Pomigliano. Credo che la Fiat stia cercando di limitare i diritti dei lavoratori in Italia e che voglia fare altrettanto qui da noi, mettendoci gli uni contro gli altri. Ma Solidarnosc lo impedirà, noi stiamo cercando di difendere e allargare i nostri diritti qui e pensiamo che i colleghi italiani stiano facendo altrettanto”. Come se non bastasse, sempre ieri un centinaio di dipendenti dell’ex Alfa Romeo di Arese (Milano) ha bloccato l’ingresso dello stabilimento, mentre erano in corso i festeggiamenti per il centenario della storica casa automobilistica. A organizzare il presidio, preceduto da un corteo lungo viale Alfa Romeo, il sindacato Slai-Cobas, che ha anche impedito l’accesso a decine di auto d’epoca invitate per la cerimonia.

HAI VOLUTO LA BICICLETTA? – E anche sul fronte politico la situazione non è ottimale. Oltre alle grida della sinistra radicale, le critiche cominciano ad arrivare anche da fronti non pregiudizialmente ostili alla Fiat. Pierluigi Bersani ha chiesto alla Fiat di rispettare i patti: “Si era detto Panda a Pomigliano, e cosi deve essere”. “Noi abbiamo spinto per il sì e ha vinto; le percentuali non cambiano il risultato, noi invitiamo Fiat a mantenere gli impegni”, ha rincarato la dose Enrico Letta. “Certo le percentuali sono importanti politicamente; ma il risultato è valido, anche se il sì avesse vinto con il 51%. Noi invitiamo la Fiat a tenerne conto: alla vittoria del sì deve seguire l’investimento dell’azienda e il trasferimento dalla Polonia a Pomigliano”. Persino Matteo Colaninno è molto critico: “Posso supporre che l’atteggiamento ultimativo e, nei toni, oltremodo ruvidi tenuti da Marchionne in queste ultime ore, nonostante le tante e buone ragioni, non sarebbe risultato probabilmente spendibile di fronte all’opinione pubblica americana e all’amministrazione Obama”. E se anche il lato più “riformista” del PD comincia ad utilizzare toni del genere, significa che davvero qualcosa si è rotto. In più, anche nella maggioranza qualche voce dal sen fuggita ha cominciato a criticare l’atteggiamento di Fiat, specialmente dopo il responso del referendum. Ovviamente, tornando a toccare il tasto degli incentivi, la querelle che ha visto contrapporsi pesantemente qualche mese fa Marchionne e Sacconi. Insomma, oggi la Fiat si trova dall’altra parte della barricata, con tanti fronti aperti e nessuna soluzione di continuità. Pomigliano, Termini, Arese, Tychy: qualunque scelta effettui il Lingotto, ora è sotto l’occhio del ciclone. Dal punto di vista “politico” fino alle scelte industriali, Marchionne non può più sbagliare.