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Cremaschi: «L'accordo è sbagliato»

Intervista  al  segretario  dei  metalmeccanici Cgil dopo la rottura con la maggioranza (Loris  Campetti)

«Due   anni  fa,  quando  firmammo  l'altro  contratto,  al  governo  c'era Berlusconi  e  la  crisi economica era più pesante. Federmeccanica aveva le stesse  pretese di oggi e voleva scambiare salario con produttività, ma noi resistemmo. Oggi  che  c'è  il governo Prodi, invece, abbiamo accettato lo scambio. Faccio  questo  esempio  per  dire  che avremmo potuto firmare un contratto  migliore,  senza scambi». Giorgio Cremaschi dà un giudizio molto negativo sull'ipotesti di accordo sigliato con Federmeccanica. Il suo è uno dei 12 voti contrari nella riunione del gruppo dirigente Fiom subito dopo la  conclusione delle  trattative. Il suo giudizio critico riguarda perciò anche  la  Fiom,  sindacato di cui è segretario nazionale e dove fin'ora si era  schierato  con la maggioranza di Gianni Rinaldini. La sua critica l'ha portato a dimettersi dall'ufficio sindacale, «quello che fa i contratti e dunque  il mio giudizio sull'accordo rende incompatibile un impegno di quel tipo». Vuol dire che per te si è esaurita la «spinta propulsiva» della Fiom e lascerai  l'organizzazione?  «No, posso fare altre cose in Fiom».

A cosa si deve la tua contrarietà all'accordo?

Il  mio  giudizio  è  negativo  perché  si accetta lo scambio tra salario e produttività.  Non era previsto nella piattaforma votata dai lavoratori. Si concedono due giornate di straordinari, è la prima volta da anni. Un sabato e un permesso (par) che però si recupera con altri meccanismi e presuppone
il consenso del lavoratore. Certo, il par è meno grave ma quando lo dicevo io mi veniva spiegato che era vero il contrario, perché il par è di proprietà  dei  lavoratori.  Poi, parlare di recupero di quella giornata di permesso è una  cavolata.  E' un brutto accordo, abbiamo portato a casa pochissimo  sui  punti  fondamentali,  abbiamo pure ripristinato la 3°+, la categoria  abolita  con  le lotte degli anni '70 per garantire il passaggio dalla  3° alla 4°. Sul mercato del lavoro non abbiamo portato a casa nulla, si  è  confermato  il  protocollo  del 23 luglio con piccoli aggiustamenti. Certo,  pesavano  gli  accordi  confederali  ma  il  punto resta. I 44 mesi presentati  come  un  tetto  alla  precarietà  sono  piccola cosa, un fatto simbolico   che  riguarda  solo  l'intreccio  tra  contratti  a  termine  e interinali.  Ci  sono  poi  tre  gravi graffi nella parificazione normativa operai-impiegati:  l'aumento  della  durata  del  periodo di prova, il calo della  retribuzione  per i nuovi assunti e la risibilità del guadagno di un giorno  di  ferie dopo 10 anni e di una settimana dopo 18 anni. Insomma uno scambio,  neanche  giustificato  dall'aumento  salariale: parametrati sui 2 anni,  i 127 euro si riducono a 97 sul 5° livello, ancora meno per il 3°. E il  primo  anno  l'aumento  si  ferma a 60 euro, come voleva Confindustria. Negare  che  si  tratti  di  un  accordo  negativo  vuol  dire inquinare la discussione nella Fiom. Inoltre, tutti, da Confindustria a Federmeccanica a Prodi  dicono  che  l'accordo  è  un primo passo nella direzione del legame salari-produttività,   il   secondo,   più  consistente,  verrà  al  tavolo confederale.  Aggiungo  che  parte della Fiom, quella più vicina a Epifani, sostiene la stessa cosa.

Stai  dicendo che è venuta meno l'autonomia della Fiom nei confronti della Cgil?

No, resta una differenza: noi abbiamo fatto gli scioperi. 
Resta la negatività  dell'accordo.  Dopo la strage della ThyssenKrupp avremmo dovuto prendere  una posizione netta contro  lo  scambio  salario-produttività, saremmo stati capiti da tutti.

Stai annunciando la tua uscita dalla maggioranza della  Fiom?

Questa  domanda  va  fatta  ad altri, non a me. Io sono un sindacalista che guarda con distacco ai partiti che non hanno rapporti con la realtà e applaudono  Mastella.  Ora  voglio capire se il contratto è un incidente di percorso  oppure l'inizio di una nuova stagione che chiude quella aperta da Claudio  Sabattini con la frase: «Ora non abbiamo più niente da scambiare». E'  evidente  che la Cgil sta premendo sulla Fiom per chiederle di mettersi in  linea sullo scambio  salari-produttività, modello cottimo.  La mia permanenza   in Fiom non è in discussione, la mia collocazione sì.

Il  tuo  è  un  gesto che va a colpire su un aspetto simbolico, e i simboli
hanno  un  peso.  C'è  una  sinistra diffusa, quella della pace e contro la
precarietà, che ha un rapporto negativo con la sfera politica e i sindacati
ma  ha sempre mantenuto un rapporto forte in questi anni con la Fiom, vista
come una delle poche voci fuori dal coro. Ora a questa sinistra, con la tua
rottura,  è  come  se  dicessi  che  anche  la  Fiom  è rientrata nel coro.

Io  mi auguro che la Fiom resti fuori dal coro. Ora, sotto la pressione del
quadro esterno e della Cgil che ha effettuato una svolta moderata, si trova
a  un  bivio:  cedere  alla  pressione, oppure restare punto di riferimento
sociale.  O  si  va  avanti  e  si  affianca  all'autonomia la critica alla
confederazione  o si torna indietro, tertium non datur. Non so se l'attuale
gruppo  dirigente  della  Fiom  si  sente  di  fare  una scelta coraggiosa.

(il manifesto, 23.1.08)